ott 9 2023
Il Diabete: la pandemia silente (ma non troppo..)
Definizione
Tra i fattori di rischio più noti, che andremo ad analizzare in una serie di approfondimenti, c’è il diabete mellito. Oltre ad essere un fattore di rischio ben noto per la salute e collegato ad un aumentato rischio cardiovascolare, rappresenta esso stesso una vera e propria patologia cronica che consiste nell’aumento del glucosio (iperglicemia) nel sangue a seguito di una ridotta o assoluta mancanza di produzione di insulina da parte della ghiandola deputata, il pancreas, o di una ridotta efficienza della stessa insulina nello svolgimento del suo compito di regolatrice/distributrice del glucosio nelle cellule.
Diagnosi
I criteri per diagnosticare il diabete di tipo II si basano sulla misura della glicemia a digiuno: una concentrazione di zucchero del sangue compresa tra 6.1-7 mmol/L a digiuno conferisce una diagnosi di pre diabete, qual’ora superiore a 7 mmol/L a digiuno siamo di fatto nella diagnosi di diabete.
Un altro criterio (piu’ strutturato) utilizzato per la diagnosi consiste nella interpretazione delle curve glicemiche/ insuliniche partendo dalla somministrazione (a digiuno) di glucosio e valutando le variazioni della glicemia con misura a distanza di un’ora , due ore, fino a 4 ore.
Altro valore molto sensibile della eventuale condizione patologica è l’emoglobina glicata (HbA1c) che rappresenta una “media “della glicemia degli ultimi 2-3 mesi. Con una glicata inferiore a 5.7% si definisce una condizione di normalità, il pre diabete con un valore compreso tra 5,7 - 6,5%, diabete con una glicata superiore a 6.5%.
Ovviamente l’interpretazione diagnostica spetta allo specialista (endocrinologo/diabetologo) che sulla base dei rilevamenti laboratoristici e clinici definisce la diagnosi .
Classificazione
Ci sono tre tipologie di diabete mellito: tipo 1, tipo 2 e gestazionale. Andando per ordine, il primo rappresenta un difetto congenito a diagnosi tipicamente giovanile caratterizzato da un difetto di produzione di insulina fin dalla nascita. Non si conoscono né le cause (probabilmente di natura autoimmune) né un’eventuale prevenzione. Le persone con questa patologia devono assumere insulina tramite iniezione per tutta la vita oltre che seguire scrupolosamente una alimentazione controllata , mantenere un peso corporeo corretto e svolgere regolarmente attività fisica.
Nel 2017 le persone affette da diabete di tipo 1 erano 9 milioni (OMS).
Il secondo quadro clinico viene anche definito come diabete adulto e può essere influenzato oltre che da diversi fattori di predisposizione, anche da uno stile di vita sedentario, da una dieta ricca di carboidrati ad alto indice glicemico , dal sovrappeso e dalla sedentarietà.
Quello su cui si deve porre l’attenzione, visto proprio l’aumentare assolutamente fuori controllo del numero di persone con diabete di tipo II a livello mondiale, è proprio l’incidenza dello stile di vita verso questa patologia assolutamente prevenibile!
Le strategie d’intervento mediche (farmacologiche) per il trattamento del diabete di tipo II sono diverse e spesso integrate tra loro e agiscono
- Sui meccanismi di miglioramento dell’insulina (che viene ancora prodotta dal pancreas
ma non riesce a veicolare correttamente il glucosio nelle cellule)
- Sulla stimolazione della produzione di insulina che è insufficiente per raggiungere il risultato di modulazione glicemica
- Sul miglioramento della conduzione intracellulare dei recettori di membrana
- Sulla riduzione dell’assorbimento del glucosio
- Sulla somministrazione di insulina esogena (lenta e/o rapida) a sostituzione dell’insulina autologa che non viene piu’ prodotta
La gestione del paziente con diabete di tipo II è certamente molto articolata e necessita di una supervisione e di un monitoraggio regolare e continuo da parte dello specialista; d’altra parte, si è pienamente consapevoli che il solo trattamento farmacologico per quanto ottimamente impostato non puo’ raggiungere il risultato di ridurre i rischi connessi con la patologia: educare il paziente ad intervenire sui suoi comportamenti alimentari (causa principale del problema) e sulla regolare effettuazione dell’attività fisica (vero e proprio farmaco per la modulazione del glucosio) sono parte integrante e fondamentale della terapia.
Epidemiologia
Abbiamo definito il diabete come una vera e propria pandemia in quanto i numeri non soltanto sono altissimi ma soprattutto perché purtroppo sono distribuiti in tutto il mondo. L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha stimato che nel 2014 l'8,5% degli adulti di età pari o superiore a 18 anni aveva il diabete. Nel 2019, il diabete è stato la causa diretta di 1,5 milioni di decessi e il 48% di tutti i decessi dovuti al diabete si è verificato prima dei 70 anni. Altri 460.000 decessi per malattie renali sono stati causati dal diabete e l'aumento della glicemia causa circa il 20% dei decessi cardiovascolari. Tra il 2000 e il 2019, c'è stato un aumento del 3% dei tassi di mortalità per diabete standardizzati per età. Nei paesi a reddito medio-basso, il tasso di mortalità dovuto al diabete è aumentato del 13%. Al contrario, la probabilità di morire per una qualsiasi delle quattro principali malattie non trasmissibili (malattie cardiovascolari, cancro, malattie respiratorie croniche o diabete) tra i 30 e i 70 anni è diminuita del 22% a livello globale tra il 2000 e il 2019. Unendo questi dati si può intuire come, sebbene ci sia stato un miglioramento della cura delle principali malattie non trasmissibili, non c’è stato un miglioramento di pari passo dell’aspetto preventivo legato al diabete. I numeri al contrario denotano un continuo aumento dei numeri… Non si fa abbastanza!
Nella vicina Italia, paese con abitudini di vita simile alla Svizzera, i numeri fanno impressione: in vent’anni, tra il 2000 e il 2020, sono raddoppiate le persone diabetiche secondo lo studio e le stime di “Italian Barometer Diabetes Observatory (IBDO) Foundation”, in collaborazione con Istat e con il contributo di CORESEARCH e BHAVE.
Qualcosa, dunque, non sta funzionando… come possiamo impegnarci a prevenire e frenare questo “contagio”?
Ma perché il diabete è pericoloso?
La malattia diabetica è una condizione di severo rischio prognostico macrovascolare e microvascolare, cioè l’evoluzione di questa patologia porta (quasi sicuramente se non seriamente controllata)
- Danni cardiovascolari (malattia coronarica – infarto)
- Danni cerebrali (ictus)
- Danni arteriopatici (arteriopatia periferica – piede diabetico)
- Danni renali (nefropatia diabetica)
- Danni oftalmologici (retinopatia diabetica)
Come si puo’ intuire il rischio di evolvere verso complicanze molto serie e gravi esiste ed è testimoniato dalle evidenze epidemiologiche; tuttavia questo problema è ancora molto sottovalutato dai pazienti, che confrontati con la diagnosi, non manifestando all’esordio disturbi o sintomi particolari, sottostimano la pericolosità della malattia interpretandola “solo” come una alterazione dei parametri del glucosio nel sangue.
Ecco perché oltre ad una diagnosi precoce risulta FONDAMENTALE far passare il messaggio che la prevenzione o, nel caso di evidenza già conclamata il trattamento, attraverso la correzione dei comportamenti a rischio è la strategia principale per ridurre (e anche annullare) i rischi
Terapia “attiva”
Come detto ci sono comportamenti che incidono sulla prevenzione e cura del diabete. Bisogna immaginare la terapia come uno sgabello a tre gambe: senza una di queste si rischia di “cadere”. Le tre basi, fondamenta per il trattamento sono: la componente farmacologica, l’esercizio fisico e la corretta alimentazione. I medicamenti sono prescritti dal medico, non resta che seguire scrupolosamente la posologia e la terapia proposta. Allo stesso tempo è un errore enorme pensare di poter gestire la glicemia
soltanto con l’approccio farmaceutico. Riguardo l’esercizio fisico le indicazioni sono quelle che ci siamo ripetuti durante le sedute svolte presso “Viverbene”: stile di vita attivo ed esercizio fisico quotidiano, di intensità moderata/impegnativa con una durata variabile dai 30 ai 60 minuti. Avrete magari sperimentato su di voi o prendendo ad esempio una persona diabetica come, nella gran maggioranza dei casi, oltre alle numerose ricadute positive post esercizio, ci sia anche una riduzione del glucosio ematico.
Ultimo trattamento, ma non certo per ordine di importanza, è l’alimentazione: è normale che post pranzo ci sia un aumento della glicemia ma questa deve rimanere il più possibile stabile durante la giornata (concetto di omeostasi). E’ scorretto e pericoloso avere grandi picchi e/o abbassamenti della glicemia. L’attività fisica la abbassa mentre nell’alimentazione sono i carboidrati gli alimenti che la influenzano. Essi si dividono in 4 livelli:
- Livello 1: frutta e verdura che grazie alla consistente presenza di fibre e acqua innalzano poco il glucosio circolante
- Livello 2: farine integrali, farro, orzo, farina Kamut, grano saraceno che innalzano poco il glucosio grazie alle numerose fibre
- Livello 3: farine raffinate come quella bianca che innalza molto la glicemia (andrebbero ridotte all’occasionalità o meglio eliminate)
- Livello 4: alcolici, bibite gasate, dolci che innalzano tantissimo la glicemia (andrebbero eliminati)
Per una corretta prevenzione e terapia bisogna prendere in mano la situazione e mettersi di pieno impegno! Con una corretta aderenza ai tre fattori appena citati i risultati sono concreti, efficaci e preventivi.